Cultura, in 10 anni fondi dimezzati per stipendiare precari e forestali

Quando c’era da tagliare, la cultura è rimasta sempre nel mirino. Altre categorie “protette” dalla politica, dai forestali ai Pip, invece sono stati risparmiati. Il risultato? Negli ultimi dieci anni, dall’inizio della grande crisi che ha portato lo Stato a ridurre di oltre tre miliardi di euro i trasferimenti alla Sicilia, i capitoli di bilancio alla voce “cultura” sono stati dimezzati. E se è vero che questo è servito a molti enti lirici e teatrali per fare un po’ di sana pulizia in casa (basti pensare agli straordinari d’oro pagati in passato al Massimo di Palermo o alle assunzioni inutili di amministrativi all’Orchestra sinfonica), riducendo così sprechi non più sostenibili, è anche vero che l’ultima mazzata rischia di dare il colpo di grazia a enti in gran parte risanati. Il tutto con la solita motivazione: per coprire e garantire le spese dei forestali, ad esempio, o per dare l’aumento ai regionali, alla fine a pagare sarà ancora la cultura, con i soprintendenti che questa volta mettono le mani avanti: «Se i tagli vengono confermati, questa volta chiudiamo», ripetono un po’ tutti, da Francesco Giambrone del Massimo di Palermo a Giorgio Pace dell’Orchestra sinfonica, passando per Luciano Fiorino del Vittorio Emanuele di Messina.

Nel 2008 la Regione investiva nel comparto cultura 73 milioni, nel 2018 il budget stimato si aggira intorno ai 40 milioni. Chi ha subito i tagli maggiori? Il Teatro Massimo di Palermo nel 2008 aveva un finanziamento regionale di 13,5 milioni: «Adesso, a malapena, arriviamo a 7,8 milioni e la Finanziaria rischia di farci perdere un altro milione di euro — dice Giambrone — noi abbiamo fatto una grande opera di risparmio e risanamento, ma così rischiamo davvero di andare in crisi. Vorrei ricordare che noi produciamo opere e diamo lavoro a 300 persone». L’Orchestra sinfonica siciliana nel 2008 aveva un finanziamento da 13,4 milioni, adesso da 7,6 milioni. Certo, negli anni d’oro ha sprecato queste risorse assumendo personale inutile: basti pensare che ha poco meno di 60 amministrativi, quasi la metà dei dipendenti compresi gli orchestrali: al Massimo di Palermo gli amministrativi sono 28. «Ma in questi anni abbiamo ridotto il personale, adesso siamo in 114, e ridotto benefit e sprechi il più possibile — dice Pace — inoltre abbiamo firmato un piano di rientro del debito con la stessa Regione con l’obbligo di mantenere inalterate le entrate. E invece la Regione cosa fa adesso? Ci vuole ridurre i trasferimenti contraddicendo se stessa». I lavoratori del Teatro Bellini di Catania sono già in agitazione: il loro ente è passato dai 21,5 milioni del 2008 a 12,6 del 2018 con il rischio di un’ulteriore riduzione di un milione di euro.

Lo stesso vale per quelli del Vittorio Emanuele di Messina, ente che nel 2008 aveva un fondo regionale da 7,2 milioni e adesso è sceso a 3,9 con la minaccia di un ulteriore taglio di 800mila euro. «Allora abbiate il coraggio di chiuderlo — dice fuori dai denti il presidente Fiorino — tuttavia, dopo la notizia dei tagli, sono stato chiamato dall’assessore Pappalardo che mi ha rassicurato, speriamo non ci sia alcun taglio».

Il fondo per gli enti privati, inoltre, è passato dai 3,9 milioni del 2008 a 1,8 milioni del 2018.

Insomma, la cultura si è vista quasi dimezzare i contributi, negli anni della crisi e della spending review. Mentre altri comparti non hanno subito veri tagli, anzi: il fondo per i forestali è rimasto sempre a una quota minima di 280 milioni, anzi negli anni del governo Lombardo era stato aumentato utilizzando fondi per lo sviluppo. Stesso discorso durante il governo Crocetta. I cosiddetti Asu, seimila precari che in alcuni casi hanno ricevuto un sussidio da 500 euro al mese perfino a casa senza fare nulla, costavano 36 milioni e continuano a costare tanto.

Proprio l’altro giorno in commissione Lavoro, mentre il governo regionale proponeva i tagli ai teatri, passava un emendamento che garantiva la stabilizzazione dei quasi tremila ex Pip, con ulteriore aggravio di costi per la Regione. Il consenso immediato d’altronde è qui, non certo sui palchi lirici e teatrali.

FONTE

La Repubblica

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